Il risarcimento del danno nella Concorrenza Sleale

Il risarcimento del danno nella concorrenza sleale.
I criteri di valutazione – Il danno emergente, lucro cessante – regolarità causale

Il risarcimento del danno che si è chiamati a valutare, ha origine da una responsabilità extracontrattuale, cosa ben diversa da una responsabilità contrattuale. Sul punto, si discute d’illecito extracontrattuale -o aquiliano- quando sussista la violazione di un diritto o di una situazione giuridica tutelata in modo assoluto -erga omnes-, mentre si ha responsabilità contrattuale -o da inadempimento- quando ci si trovi al cospetto della violazione di un diritto relativo. Ne consegue che, trova applicazione –correttamente- il risarcimento del danno secondo il criterio della “regolarità causale” ex art. 1223 cod.civ. e seguenti.
Per converso il criterio della cd. “retroversione degli utili” al quale taluni si richiamano, trova applicazione unicamente nei confronti dei diritti titolati, cioè di quelli disciplinati in base all’art. 125 Codice di Proprietà Industriale. Peraltro giova ricordare che il comma 3 dell’art. 125 CPI, rinvia l’applicazione di detto criterio unicamente come “alternativa” al risarcimento del lucro cessante o “nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento”, ipotesi questi che deve essere fondata su una richiesta specifica del titolare del diritto leso.
Infatti, è bene chiarire subito, l’istituto del risarcimento del danno nel diritto industriale si caratterizza per la sua duplicità: ossia i criteri applicabili sono ben diversi a seconda che la violazione interessi la concorrenza sleale (come nel caso di specie), ovvero qualora leda diritti di proprietà industriale ed intellettuale (es. marchi, brevetti ecc.).
Nella prima ipotesi, che si ribadisce è quella che interessa, dottrina e giurisprudenza concordano da sempre nel riconoscere l’applicabilità del solo criterio della “regolarità causale”.
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Giurisprudenza e dottrina sul punto sono chiarissimi. Una per tutte Cassazione civile sez. I del 06 ottobre 2008 n. 24635 Soc. Bellatrix C. Soc. Strapazzini resine, Foro it. 2009, 3, I, 855 “In tema di liquidazione del danno da concorrenza sleale per imitazione servile, posto che il danneggiato non può conseguire un risarcimento eccedente l’entità del pregiudizio, una volta che si sia formato il giudicato sul criterio di liquidazione fondato sulla perdita di profitto della vittima dell’illecito, non possono trovare applicazione – in quanto incompatibili – gli ulteriori criteri del fatturato, e relativo utile, dell’imprenditore scorretto e del giusto prezzo del consenso”, come anche in Tribunale di Milano 4 Gennaio 2007, (Hermes c/Borri, n. 5126 in GADI 2007) “..in materia di concorrenza sleale sono inutilizzabili i criteri di risarcimento della <> o della <> previsti dall’art. 125 c.p.i.”
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In dottrina, la relazione dell’Ill.mo prof. G. Floridia, agli atti del convegno di Roma del 23 Giugno 2011, nell’ambito del cd. private enforcement in materia di Risarcimento del danno e restituzione dei profitti dell’autore della violazione così afferma, per quanto qui di interesse:
“quando si tratta di liquidare il danno conseguito ad un illecito di concorrenza sleale oppure ad un illecito di diritto antitrust, in questi casi il danno deve essere liquidato sempre e soltanto valutando in base ad un giudizio ipotetico quanta parte della probabilità di guadagno compatibile con il mercato di riferimento sarebbe stata realizzata dall’impresa colpita dall’illecito se questo non fosse stato compiuto e quanta minore parte è stata realizzata a causa della perturbazione provocata dall’illecito posto in essere. La differenza deve essere attribuita al soggetto pregiudicato così realizzandosi quella funzione compensativa che è tipica degli illeciti derivanti – come si è detto – dall’incompatibilità modale del comportamento posto in essere.”
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Pure il magistrato di Cassazione M. Scuffi (già autorevole della Sezione Specializzata in proprietà industriale del Tribunale di Milano) si esprime in tal senso, affermando come “Una volta accertata l’ontologica esistenza del danno ed il legame causa—effetto che lo collega all’illecito , la liquidazione dovra’ occuparsi dalle sue componenti tipiche di danno emergente e di lucro cessante eventualmente integrate da altre ravvisabili forme di pregiudizio quali la perdita di chance (C.A.Milano,24 dicembre 1996 Telsystem c/ Sip) e/o il danno all’immagine (C.A.Milano,11 luglio 2003 Bluvacanze), con eventuale utilizzo della tecnica processuale della separazione del giudizio dell’an da quello sul quantum debeatur onde pervenire alla c.d. condanna generica con riserva di quantificare il risarcimento –anche a mezzo di CTU- ..Il danno emergente nella sua lettura tradizionale, non presenta particolari problemi applicativi giacche’ sussistenza e consistenza del pregiudizio
patrimoniale possono essere agevolmente dimostrati con documenti e tabulati vari.
Comuni a tutti gli illeciti concorrenziali – ad esempio- sono i costi sostenuti dall’impresa per acquisire le prove dell’illecito ivi comprese le spese di assistenza legale e tecnica(perizie, affidavit, ricerche di mercato etc.). Occorre poi conteggiare le spese per neutralizzare l’illecito eliminando gli effetti distruttivi da esso scaturenti come il maggior dispendio per reperire aliunde la merce illegittimamente negata.
Vanno quindi considerate le pure perdite aziendali per i costi sostenuti in progetti di aggressione al mercato nell’ambito della normale competizione vanificati da condotte monopolistiche prevaricanti messe in atto da terzi in violazione della normativa antitrust; cosi’ pure gli oneri sprecati in un disegno imprenditoriale che non abbia potuto trovare sbocco per una condotta anticoncorrenziale che ha di fatto impedito quell’operosita’ necessaria per dar luogo a risultati utili.
Piu problematica si presenta la veritiera ricostruzione del lucro cessante, stante il variegato atteggiarsi degli effetti anticoncorrenziali comportanti all’occorrenza ricorso a rules of reason flessibili non sempre conducenti a risultati economici affidabili. Non a caso nella quantificazione del danno entra sovente in gioco la valutazione equitativa prevista in via generale dall’art.1226 c.c. cui fa riferimento l’art.2056 c.c.”.
Tra i criteri di valutazione, il dott. M. Scuffi segnala tre ipotesi:
a) presuppone il confronto tra la situazione patrimoniale del danneggiato come si presenta a seguito dell’illecito e quella puramente ipotetica che si sarebbe determinata in sua assenza;
b) comparazione storica postula la messa a confronto dei profitti realizzati prima (before) e dopo(after )l’illecito a condizione che i due periodi di riferimento(base period e damage period) siano attendibilmente e sufficientemente raffrontabili in assenza di fattori estranei alla azione anticoncorrenziale altrui che abbiano in ipotesi concorso alla compressione delle performances economiche della vittima.
c) comparazione ideale impone il confronto tra i profitti realizzati dall’impresa danneggiata dopo l’illecito con quelli di altra impresa con analoghe caratteristiche ma rimasta immune da pratiche anticoncorrenziali.
I suddetti criteri, sempre nell’ambito del “danno emergente / lucro cessante”, trovano applicazione alternativamente nelle diversi fattispecie da valutare.

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